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(Very) Wild Card

Ce li ricordiamo in campo assieme, esaltarci in quel magico 1983 azzurro tra forbici, canestri e medaglie. Forse sono in assoluto i giocatori che più hanno incarnato il concetto di “sputare sangue” di petersoniana memoria. Ora si trovano, da Presidenti, su posizioni lontane. Il che di per sé non rappresenta alcun problema, anzi. La vexata quaestio riguarda le cosiddette wild (nomen omen …) card. Le posizioni ? Eccole

BONAMICO

In merito alla possibile assunzione, nel prossimo Consiglio Federale del 26 settembre, di una delibera che dovrebbe istituire la cosidetta “wild card”, a valere tra il campionato di Lega A ed il campionato di Legadue, la stessa Legadue e la Lega Nazionale Pallacanestro, ciascuna per quanto di propria competenza, rigettano nella forma e nella sostanza tale istituto.
Si ritiene infatti, che la wild card, intesa come possibilità unilaterale per una retrocessa (la penultima in campionato) di “salvare” il proprio diritto sportivo indennizzando la seconda squadra promossa dalla serie inferiore, sia molto lontana dai principi di leale competizione, di autodeterminazione e di salvaguardia del diritto sportivo, a cui lo sport italiano si è sempre ispirato. Tale decisione è in contrasto altresì con la delibera n. 276 del Consiglio Federale e con le delibere n. 402 e n.1344 del Coni
Allo stato attuale, per quanto a conoscenza delle Leghe, l’attuazione dell’istituto della wild card dovrebbe riguardare, in prima istanza, soltanto le serie professionistiche, da cui deriva la netta opposizione e contrarietà della Legadue.
Ciò nonostante, nell’ipotesi non remota che tale problematica possa a breve, nell’ambito di una rituale quanto comprensibile rivendicazione delle diverse Leghe, riguardare direttamente anche la Lega Nazionale Pallacanestro, la stessa LNP ritiene moralmente opportuno specificare fin d’ora la propria contrarietà di fondo, stanti le necessarie verifiche del Consiglio Direttivo e dell’Assemblea delle società, a partire proprio da quella già convocata in data 26 settembre p.v.
In considerazione quindi della posizione assunta dai direttivi delle Leghe rappresentanti una grande parte del movimento cestistico italiano, si richiede in modo formale al Consiglio di soprassedere alla deliberazione dell’istituto in questione, nelle more della costituzione di un tavolo di confronto tra la stessa FIP, la Lega A, la Legadue e la Lega Nazionale Pallacanestro, avente ad oggetto la riforma dei campionati, nell’ambito della quale potrebbero comunque essere raggiunti, in modo diverso, alcuni degli obiettivi che l’istituto della wild card intende proporsi.

MENEGHIN

“Dispiace constatare che dalle parole non si passi mai ai fatti. Il dibattito sull’introduzione del concetto della “wild card” è stato lungo ed approfondito. Scaturisce dall’esigenza più volte rappresentata dai club della massima serie di contenere i propri budget e dalla considerazione che l’attuale interscambio Lega A – Legadue (2 retrocessioni – 2 promozioni) costituisce un’anomalia rispetto all’assetto degli altri campionati maschili per cui ciascun girone composto da 16 squadre esprime una sola promozione al campionato superiore.
L’introduzione della “wild card” a partire dalla stagione sportiva 2010/2011 mira a sanare questa anomalia pur riconoscendo alla seconda classificata della Legadue un “premio di risultato” nonché la possibilità di accedere alla Serie A nel caso in cui la quindicesima classificata della Serie A decidesse di non attivare il processo della “wild card”.
Non credo pertanto che si possa parlare di “cessione del diritto sportivo” e quindi di violazione delle direttive emanate dal CONI a riguardo.
Il Presidente di Legadue, accogliendo in linea di principio sia l’idea di “wild card” che di “ranking”, ha partecipato alle riunioni di Consiglio federale nel corso delle quali sono stati ripetutamente affrontati questi temi e mi ha incontrato personalmente a Roma non più tardi della scorsa settimana, manifestando le proprie perplessità e le proprie remore rispetto agli accordi raggiunti tra FIP e Lega A, con particolare riguardo all’istituto del “ranking”, e formulando una proposta interessante che mi riservo di valutare nel contesto appropriato del Consiglio federale.
Ho rispetto per tutte le società della FIP e per i loro dirigenti, ma sono mesi che tocco con mano l’impossibilità di assumere provvedimenti ed iniziative che non siano oggetto di fuochi incrociati, di veti, laddove le dichiarazioni verbali sono tutte improntate al bisogno di fare “sistema”, di tornare ad essere un gruppo unito che lavori per il bene dell’intero movimento, delle ragazze e dei ragazzi che vogliono fare basket, dei dirigenti che lavorano sul territorio con gli istruttori, gli allenatori, gli arbitri.
Sono stato eletto per fare delle scelte, non contro qualcuno, ma per il movimento.
Voglio fare queste scelte, come già accaduto per le norme in merito alla eleggibiltà in Lega A. Posso sbagliare, verrò valutato, giudicato, avvicendato, ma non posso sopportare di essere immobilizzato nella situazione attuale.
Le Associazioni riconosciute dalla FIP, e quindi anche le Leghe, nascono per collaborare lealmente e fattivamente con la Federazione lungo il solco delle direttive e degli obiettivi che la FIP stessa stabilisce.
Questo mi aspetto, e questo sto aspettando, che tutte le Associazioni riconosciute comprendano di far parte di un sistema cui debbono costantemente far riferimento senza assumere posizioni “sindacali” in difesa di questo o di quel gruppo.
Se la logica partecipativa e responsabile al sistema federale non si affermerà velocemente vorrà dire che avrà perso la pallacanestro italiana”.

CONCLUSIONI

Temo che una volta di più il problema non sia di parteggiare per una o l’altra “istituzione” o per l’uno o l’altro ex-giocatore. Sconsiglio di credere che questa sia una sfida tra romantici che difendono il diritto sportivo e pragmatici che pensano al conto economico. Bonamico, Meneghin e tutti gli altri fanno benissimo a difendere i propri associati e princìpi. Ma finchè questo sistema non verrà davvero ripensato da cima a fondo qui non si andrà da nessuna parte. Il discorso è molto molto semplice a mio avviso: il basket professionistico DEVE essere trattato come un’azienda. Nel mondo aziendale sopravvivono le aziende che stanno sul mercato meglio delle altre, sic et simpliciter. La Federazione e la Lega intese come negli anni ’70 non hanno alcun motivo di esistere se la prospettiva è davvero questa. Non è un giudizio di merito sugli uomini che ieri od oggi le rappresentano. Solo che la mediazione politica non è l’istituto con cui si mettono a posto i conti (ogni riferimento bla bla NON è casuale). Quindi, o si cambia il modello per davvero o non si potranno mai superare le solari contraddizioni di un sistema disegnato per altri tempi. La proposta potrebbe essere: noi (FIP o soggetto simile) ci occupiamo della base della piramide e delle Nazionali. Voi (Lega o soggetto simile) dei professionisti. Si studia un meccanismo acconcio per l’interscambio economico tra base e vertice. Poi, ognuno al lavoro. Il vertice aspetta la produzione della base che remunera per fare un lavoro che normalmente non dovrebbe spettare a chi vuole vincere l’Eurolega o lo scudetto. Perché quell’argenteria viene a casa coi giocatori fatti e finiti. Ma per farli e finirli, come per le nespole, ci vogliono tempo e paglia. E organizzazione e soldi. Vogliamo buttare lì per chiarire ? La FIP controlla i giocatori fino a “x” anni di età, gestendone la loro militanza in campionati che organizza con il criterio di favorirne lo sviluppo tecnico. Dopo quell’età il vertice prende la crema, pagando denari che la Federazione reinveste per creare i giocatori del prossimo “draft”. Per vertice intendo un’associazione di imprenditori che si prende gli oneri e gli onori di organizzare tutto, a partire dalle regole (economiche e non) che si devono rispettare per essere in quel club. Ci sono 100 imprenditori così ? Si gioca un campionato a 100 squadre. Più verosimilmente ce ne saranno 15 di categoria A, 30 di categoria B, ecc. Si organizzeranno per gruppi economicamente e logisticamente omogenei, che verranno periodicamente verificati. Non sono leghe chiuse, ma semplicemente si “retrocede” e si viene “promossi” perché sono cambiate le condizioni. E si abitua la gente a guardare le partite, a capire questo sport ed a comprarlo, come una qualsiasi forma di intrattenimento. Sì, non ci saranno più ultime spiagge, battaglie, feste per le retrocessione del nemico e veglie funebri perché per un punto non sei stato promosso anche se avevi investito 5 volte tanto rispetto ai tuoi avversari. Logico, alcune posizioni acquisite verranno perse, bisognerà ridisegnare tutta la mappa. Ma forse sarà anche possibile vedere una luce in fondo al tunnel, che ora è buio ed attaversato solo da polemiche e litigi che di costruttivo non hanno nulla. Attenzione, il problema non è di aderire o meno a questa proposta ma di capirne lo spirito. Che è banale: i professionisti sono tali, si autodeterminano e vengono giudicati solo dal mercato. Per starci, su quel mercato, hanno bisogno di produrre giocatori, un’attività diversa dalla loro mission istituzionale. Che potrebbe benissimo portare avanti chi ha esperienza in quel ramo. Ma io non so spiegarmi bene. Per fortuna uno nell’ambiente che ha questo dono esiste. Si chiama Ettore Messina, ed a Franco Montorro ha detto parole che andrebbero semplicemente prese e scolpite nella pietra

Messina, possiamo parlare di fuga di cervelli dall’Italia?
«Sì. E troviamo subito un filo conduttore, tutt’altro che economico: la stanchezza per il clima esasperato che si vive nello sport italiano. Dove tutto è complicato, conflittuale. E poi, in Italia, salvo rare eccezioni non si può mai programmare nei tempi dovuti. Così lavorare all’estero diventa un modo per lasciarsi alle spalle isterie collettive e purtroppo devo dire che da noi rappresenta uno specchio della vita quotidiana. In Italia ci si schiera, si tifa e se la qualità arriva da un avversario non viene riconosciuta. Un’idea non viene giudicata valida o meno dopo averla approfondita. Se una proposta è intelligente, ma arriva da uno di un partito di una squadra diversa, quello è un avversario e il suo pensiero va stroncato. Anche nello sport, in Italia, la “res publica” è un concetto fermo all’antica Roma».

Published inHomepagePensieri a raffica

14 Comments

  1. Lorenzo Battistini Lorenzo Battistini

    Condivido pienamente la necessità di una riforma del movimento e anche l’inquadramento dei ruoli di Federazione e Lega. In tal modo infatti si verrebbe a creare un processo virtuoso (non so quanto utopistico…), che gioverebbe a tutto il movimento.
    Un campionato under 23 (modello NCAA), magari con qualche fuoriquota a fare da “chioccia” e una lega professionistica con 14-16 squadre. Basterebbe studiare una formula che permetta l’interscambio con la lega di sviluppo. Non dubito ci possa essere qualche imprenditore o anche qualche consigliere di federazione pronto a promuovere una tale iniziativa. Tuttavia dubito che ci possa essere una coscienza collettiva che consenta ai soggetti coinvolti di mettere da parte, magari per un solo attimo, la propria ottusità.
    We’ll love this game, yet!

  2. edoardo edoardo

    Di fatti quello che credo, è che la soluzione a questo problema dei salari passi soltanto per una intesa, costituzionalizzazione, accordo, di livello planetario (il riferimento agli USA è immancabile) su un massimo dei salari. Perchè come dice Platone, nelle “Leggi”: Noi proclamiamo che in uno Stato…non ha da esservi nè una troppa dura miseria in alcuni dei suoi cittadini, nè una eccessiva ricchezza in altri…all’una e all’altra dunque il legislatore ponga dei limiti”.
    Questo è quello che una Federazione Mondiale del basket dovrebbe fare, se volesse essere veramente democratica, nei confronti dei suoi atleti.
    Aggiungerei un passo di Rousseau: “Nessun cittadino sia tanto opulneto da poterne comprare un altro e nessuno tanto povero da essere costretto a vendersi” (dal Contratto sociale).
    Il mercato ha bisogno di regole, sennò vince sempre il più forte dal punto di vista economico: il paese che ha più soldi fa vedere i giocatori più bravi-più pagati. NO!!! I giocatori bravi sono un bene di tutti e non di chi ha più soldi.
    Peace and love.

  3. Edoardo Edoardo

    Che non ci sia vizio ideologico è difficile da sostenere:” il basket professionistico DEVE essere trattato come un’azienda”, “E si abitua la gente a guardare le partite, a capire questo sport ed a comprarlo, come una qualsiasi forma di intrattenimento” ed infine “Che è banale: i professionisti sono tali, si autodeterminano e vengono giudicati solo dal mercato.
    Il mito del mercato e della sua capacità di selezionare e individuare i migliori è frutto di schemi precostituiti. Gli Americani sin dalla fine del XIX secolo lo avevano capito (Sherman act): il mercato senza regole è un “bellum omnium contra omnes”, in altre parole un luogo dove vige la regola del più forte. Lo statuto della FIP, che in quanto federazione di vertice ha potere di riconoscere solo associazioni che si INFORMANO ai suoi principi istituzionali nei loro statuti, porta avanti come scopo sociale: “La Federazione Italiana Pallacanestro è un’Associazione con personalità giuridica di diritto privato che non persegue fini di lucro.”, “La FIP è stata costituita nel 1921 allo scopo di promuovere, regolare e sviluppare lo sport della pallacanestro in Italia, nel rispetto dei principi costituzionali” ed ancora “Le finalità istituzionali sono attuate nel rispetto dei principi di democrazia “.
    Dovrebbe essere chiaro, da questo quadro normativo, che tutto il mondo della pallacanestro è informato da principi morali-etici in particolare uno, mutuato direttamente dalla nostra Carta Costituzionale: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” dove “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”, bene nell’ambito cestistico questo assunto va così letto “Il mondo cestitico è una comunità democratica fondata sul lavoro(in campo sul parquet), dove le squadre sono uguali a prescindere dagli investimenti fatti”. Ne discende come corollario che istituti come la wild-card vanno contro tali disposizioni. La democrazia costituzionale è un luogo dove “NON su tutto si può decidere”, come il fatto appunto che promozioni e retrocessioni non siano il premio di “lavoro” e fatica, ma di transazioni commerciali. Ancora, in altre parole, si può affermare il principio per il quale: “Le società di basket non possono rinunciare al lavoro ed al verdetto del campo, sostituendolo con negozi (giuridici) dove si scambiano soldi per diritti (tutto da dimostrare che diritto qui si possa parlare)”.
    Il mercato non c’entra niente: l’unico giudice è il campo e le uniche possibilità di vincere sono il lavoro e il sudore, non i soldi.

    • Flavio Flavio

      certo che c’è un vizio ideologico, ma nel discorso qui sopra ….. se la difesa della democrazia passa attraverso chi gioca in un campionato siamo veramente alla fine della parabola … come per quella crescenza di una volta, direi che la democrazia è una cosa seria e possiamo lasciarla dove sta (male purtroppo, ma è un altro discorso) …. Provo a riassumere: con McIntyre e Papaloukas si produce una pallacanestro migliore che con me e te. Per averli, è una democratica legge di mercato, bisogna pagare più degli altri. Per farlo servono i soldini, che poi recuperi facendo pagare a spettatori, sponsor e radio/TV ancora + soldini. Nel 1921, a naso, non era così. Se si vuole fare qualcosa di utile per lo sport che amo, sempre a naso, bisogna far vedere Papaloukas e McIntyre. La Costituzione non ci aiuta purtroppo da questo punto di vista, come non aiuta i lavoratori che finiscono in CIG perchè le loro aziende vengono amministrate male. Far giocare quelli che hanno 20 milioni di monte-salari tutti certi con quelli che arrivano forse ad 1 incerto è abominevole. Anche se lo sport, per fortuna, produce una volta ogni tanto delle meravigliose sorprese che mi e ci commuovono. Ma con Kakà vinci più che con Abate, fidati. E Kakà è meglio se gioca con e contro altri Kakà. Sempre che non sia anti-costituzionale …. Questo è quel che penso io, non certo il Vangelo. Ma non può essere confutato ergendosi a ultimi baluardi di non so che cosa. Neppure quando viene fatto in palese buona fede (cosa che non avviene spessissimo nell’ambiente). Grazie dell’attenzione, peace and love

  4. Riccardo Bononi Riccardo Bononi

    Il solco più profondo che divide l’Italia da molti altri paesi è secondo me la pressochè totale assenza dello sport nella scuola.. Il basket, come praticamente tutti gli sport in cui non c’è un pallone da prendere a pedate, può uscire dalla propria nicchia solo se si allarga la base di appassionati e giocatori.. Lo sport ha un valore pedagogico inestimabile ma nelle nostre scuole è praticamente assente, con il risultato che, da un lato, una larghissima fetta delle nuove generazioni non ha accesso a uno strumento educativo eccezionale e dall’altra il movimento dei campionati professionistici attinge giocatori, spettatori, allenatori ad una fonte enormemente ridotta rispetto al potenziale che un paese di 60 milioni di abitanti potrebbe offrire.. Se non si parte a riformare il sistema dal basso, dalle fondamenta, non si potrà mai dare continuità di risultati e qualità al basket italiano e continueremo a vivere nell’attesa della prossima generazione di fenomeni

  5. Cristiano Cristiano

    a proposito di fuga di cervelli…
    Mi piacerebbe sapere da Flavio cosa ne pensa del fatto che Pecile e Spinelli non possano giocare a pallacanestro nella nostra massima serie.
    Se non sbaglio la Pallacanestro Biella ha raggiunto per la prima volta nella sua storia la semifinale scudetto… e gli ultimi possessi li ha giocati Spinelli… boh… io non ci capisco niente

  6. Federico Federico

    Flavio, io penso che il problema evidenziato dalla tua analisi si possa estendere, con le dovute prporzioni, a tutti gli sport professionistici e semiprofessionistici in Italia. Tanto nel calcio, come nella pallacanestro ci sono troppe società ed il mercato (sportivo e non) non ha sufficiente risorse per tutte: per questo ogni anno si assiste a società che spariscono o che sono sommerse di debiti e tutto il teatrino che gli va dietro. L’errore secondo me è pensare a questi problemi solo in termini di sport: è tutta la società che vive in base al regime di mercato. In tale logica vanno quindi pensate anche le manifestazioni sportive: come un prodotto che ha un costo e che deve produrre una certa rendita. Seguire quindi la linea americana dove la partecipazione ai campionati (NBA,NFL, MLB) sia concessa a soggetti che dimostrano di avere le “capacità di mercato” per starci anche indipendentemente dai risultati sportivi (immediati). Certo è una visione meno romantica dello sport come noi lo conosciamo, ma è l’unica che oggi si sposa con il nostro modo di vivere

  7. marco marco

    caro flavio, seguo da tempo il tuo forum e devo dire che le tue disanmine sono veramente interessanti, ma quello che nn capisco e’ perche’, malgrado nessuno, a livello di club, di lega e parte della fedarzione non voglia piu’ ne’ meneghin ne’ recalcati , ancora nessun giornalista e nessun movimento abbia fatto notare questa sofferenza del sistema….il quale va esclusivamente contro i club i quali sono gli unici che spendo no e che promuovono il movimento in italia…
    vorrei critiche piu’ toccanti contro personaggi gasati e presuntuosi, mi piacerebbe che venissero detti anche gli stipendi dei giocatori italiani tanto per far notare quanto, a parita di risultati, costano tanto di piu’ degli stranieri, che offrono piu’ professionalita’ e gioco..
    Anche se a tutti piacerebbe vedere squadre con un po piu di gioco italiano non credo che in Europa si riesca ad essere competitivi giocando con pay come vitali o poeta ( contro play europei paurosamene bravi) e sopratutto pivot Crosariol..( vorrei immsaginare una partita di eurolegue con scontro batiste o pekovic contro crosariol….. o gigli…giocatori bravini ma patetici contro i colossi europei…Forse meneghin non capisce che sono i club ad essere amati e nn la nazionale che ha sempre dimostrato di non saper reggere il confronto sia sul piano di gioco che sul piano di attaccamento alla maglia……ma si sa le poltrone fanno comodo a tutti….
    grazie Flavio..attendo una tua risposta…
    marco

  8. roberto roberto

    povera italia.le parole di Messina pesano come macigni.secondo me il vero nocciloo della questione è che il basket italiano è come tantissimi altri settori della società italiana.dove la vera meritocrazia non viene applicata e dove,come dice Messina,ci si schiera a priori senza valutare il contenuto delle idee proposte.
    comunque complimenti Flavio per la disamina perfetta.da sottoscrivere parola per parola.

  9. marco marco

    Non avevo ancora letto un’analisi così lucida della situazione, forse perchè arriva da qualcuno che è fuori dal coro, mentre la lega da una parte cerca (non riuscendovi) a tutelare i propri investimenti e meneghin non fa altro che portare avanti le istanze di chi gli sta alle spalle.
    Quello che proponi pero è l’ arcadia e come tale irrealizzabile.

  10. guido guido

    credo che ci stiamo allontanando dal concetto di sport.I soldi valgono più dei risultati sul campo questo è scandaloso.Non c’è alcun aiuto per le piccole squadre peggio vengono cancellate(vedi orlandina basket)per motivi tutti da definire chiusi politicamente.la fortitudo è sopravvissuta con 6 milioni di euro di debiti partendo dalla a dilettanti l’orlandina cancellata x poco più di 200 mila euro di debiti,a quanto pare ingiustamente perchè quei soldi non li doveva pagare e ANCHE SE non vi è stato dato il tempo per pagarli al contrario di quanto è stato concesso alla virtus bologna anni fa.Comunque a Capo d’Orlando per questa ingiustizia non ci siamo arresi e da oggi siamo stati ripescati in C dilettanti e siamo pronti a tornare dove meritiAmo.VIA LA POLITICA DAL BASKET

  11. Personalmente ritengo la wild card una fesseria. Barattare retrocessione/promozione con una valigia piena zeppa di euro mi sembra una cosa che non ha a che fare ne con lo sport ne con una gestione imprenditoriale dello sport. Se un club arriva penultimo non deve per forza ritenersi un club allo sbando, magari cerca di costruire qualcosa e il primo anno non va bene, ma se riesce a stare a galla rispettando i requisiti imposti dalla Lega per far parte del “ranking” dei club professionisti, non capisco perché imporre uno svantaggio economico consistente come il pagamento di un indennizzo (stabilito in quanti euro? Chi decide la portata di tale indennizzo?) che farebbe magari le fortune di un secondo classificato in Legadue e le sfortune di un progetto in avviamento in Serie A e creerebbe ancor di più isterie e conflitti, e soprattutto potrebbe portare all’abbandono dei progetti che spesso richiedono un termine non brevissimo come è un anno sportivo.
    Meglio la soluzione modello americano: i club che possono stiano, fin quando ne hanno e fin quando riescono a essere competitivi anche economicamente, in una lega di professionisti di Serie A a determinati livelli e di Serie B ad altri livelli, più bassi e con possibilità di crescita. Leghe senza retrocessioni o promozioni ma aperte all’entrata o all’uscita di club che rispettano determinati requisiti economici. I club devono diventare un sistema integrato in grado di costruirsi un mercato del basket e di imporre anche a livello mediatico tale sport (che significherebbe più soldi per tutti).
    Mi scuso vivamente per la lunghezza dell’intervento.
    Daniele (doppok)

  12. Gabriele Gabriele

    Ma se come dice Messina il problema in Italia sono le persone e non il sistema, cambiando la formula dei campionati cambierà qualcosa?

  13. stavolta condivido tutto parola per parola. è assurdo che chi governa/gestisce/ecc la serie A – e i club che fanno l’eurolega – sia lo stesso che governa-gestisce ecc la Promozione, con gli stessi criteri e regole.
    mi augurerei davvero che un rinnovamento “copernicano” (ma semplice, prendendo da chi le fa già le cose giuste, invece dei “semicerchi”…) possa avvenire prima che il giocattolo vada portato in discarica definitivamente (dato che rotto s’è già rotto). ma l’immobilismo e la “politica” sono lì che ci guardano…

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