Skip to content

The beat goes on

«Qui c’è gente che non capisce la cosa più grave. Non tanto se giocheremo un campionato con 16 o 17 squadre, ma in quante per davvero riusciranno a portare a termine la stagione. In 30′ ho capito l’andazzo e davvero mi delude e mi fa arrabbiare il fatto che che pochi abbiano voluto prendere atto della gravità della situazione dopo la scure che è calata su Napoli e Capo D’Orlando». Il riferimento è diretto alla volontà di un folto gruppo di società di bloccare le retrocessioni, l’autocertificazione dei bilanci e altre sventatezze del genere. Roba grave. «Che lede – ha chiuso Sabatini – una credibilità già al ribasso».

Così si è espresso il numero 1 della Virtus dopo l’assemblea di Lega, abbandonata per l’ennesima volta al termine dell’ennesimo litigio. Per inciso chi scrive pensa che le cose che leggete sopra siano sacrosante e spera che l’opinione sia condivisa da tutti quelli che guardano allo stato dell’arte con onestà intellettuale. Ma certo non saranno delle dichiarazioni roboanti a tirarci fuori da questa palude. E neppure delle assemblee fatte di furiosi litigi che non portano da alcuna parte, posizioni fintamente intransigenti, manovre sotterranee, accuse incrociate, sfiducie inconfessate. Con un bel comunicato stampa di 15 righe alla fine per dire che in fondo va tutto bene e rimandare a futuri tavoli la soluzione.

Ci sarebbero così tante cose da dire su questa vicenda che è veramente difficile cercare di concentrarsi sulle questioni di fondo. I problemi del basket professionistico in Italia sono chiarissimi per chi vuole guardarli. Sono problemi eminentemente economici, come correttamente enunciato da Sabatini (ed altri of course). Che nascono da un prodotto che ha perso, appunto, credibilità e per questo non genera risorse da investire per crescere. Che non ha progettualità, prospettiva, programmazione. Che continua a gestire emergenze e a non rimuovere alla base tutte le condizioni che le fanno nascere. Che pensa ad aggirare nel suo complesso regole subite passivamente (tanto poi si possono aggirare …). Che non sa governarsi e si nasconde dietro la minuscola foglia di fico provvista dalla Federazione, a sua volta asserita custode di una sacralità che, se mai esistita, oggi non c’è. Volete dirmi che esiste al mondo un’organizzazione che può occuparsi contemporaneamente di tutti i campionati dalla seconda Divisione alla Legadue, delle donne, delle nazionali, della promozione, della “giustizia sportiva” (virgolette volute), di arbitri e ufficiali di campo e ALLO STESSO TEMPO gestire il basket di vertice (che ha i problemi di cui sopra) ? Il tutto con la “collaborazione” di un ufficio di una ventina (scarsa) di dipendenti che si occupa (egregiamente) di questioni tecnico-amministrative tra un’assemblea-pollaio e un’altra ? Come, l’NBA dà lavoro a migliaia di persone e noi siamo così bravi e furbi che con una cinquantina, quasi tutti senza background cestistico, facciamo la stessa cosa ? Non sto dicendo che basti assumere 2000 persone per decollare, sia ben chiaro. Ma solo che il circuito virtuoso da attivare è: recupero delle risorse con serio business plan-investimento-crescita. Posto che agli operatori di questo settore interessi per davvero cercare di innescarlo questo benedetto circuito.

Perchè se ancora non l’avete capito, così non è, almeno nella stragrande maggioranza dei casi. E se (siccome) così non è, non si tratta di fare una battaglia politica per guadagnare qualche posizione rispetto alla Federazione. O peggio ancora cercare di mettere tonnellate di polvere sotto un tappeto che ogni tanto qualcuno alza salvo rimetterlo subito lì ad accumulare altro sporco. O applicare pannicelli tiepidi.

Ora i buoi sono scappati dalla stalla. Il che non significa che se ci sono dei diritti non debbano essere garantiti. Che se ci sono delle regole non debbano esser osservate. Nello specifico del caso-Orlandina si registra ieri una lettera del presidente Sindoni che riporto.

E’ sabato, il giorno nel quale si attende la partita. Oggi che l’attesa è meno bella ma ancor più untensa, mi è venuta voglia di scrivere ai miei amici/colleghi tifosi.
Non è un comunicato stampa, è una lettera a cuore aperto e quindi rivolta solo a chi, come me, ha l’Orlandina nel cuore.

Aggrappati con un unghia ad un granello di povere attaccato ad un vetro in posizione verticale.
Credo sia questa l’immagine che molti abbiano di noi tifosi dell’Orlandina.
Non è così: nonostante veleno e fango che piovono da lontano ma anche da vicino…
Siamo stati esclusi perché la mancata iscrizione in bilancio (non il mancato pagamento che nessuno ci contesta) di una somma richiesta dall’enpals che noi riteniamo non dovuta.
Non c’è nessun’altra ragione. Ripeto: non c’è nessun’altra ragione.
Su questa, nella forma e soprattutto nella sostanza, abbiamo presentato ricorso alla Camera di Conciliazione del Coni, e ne attendiamo la decisione.
Con serenità ed ottimismo: serenità che scaturisce dalla consapevolezza di avere fatto tutto quanto poteva esser fatto, ed ottimismo conseguente alla fondatezza delle nostre ragioni.
Il resto non c’entra, ma non ho voglia di replicare né alle confuse considerazione del presidente di Lega Corrado, il cui comportamento in Consiglio Federale lo rende mio nemico, né a che parla, anzi straparla, di atti o dichiarazioni false.
Saranno le Procure a valutare: quella Federale e quella della Repubblica, alla quale mi sono rivolto per tutelare nelle sedi dovute, non su giornali e forum, l’Orlandina basket ed il sottoscritto.
E per adesso, ma solo per adesso, non voglio neanche chiedere conto del diverso trattamento riservato ai cinque club di serie A con debiti scaduti verso l’erario.
Ma non facciamo confusione, non diamo alibi, non perdiamo l’orizzonte: siamo stati esclusi dalla serie A soltanto per la mancata iscrizione in bilancio di una somma che riteniamo di non dovere pagare.

P.S.: Quanti sanno che il bilancio dell’Orlandina non è ancora chiuso, e che quell’importo potrebbe essere invece stato iscritto?

Io di certo non ho la preparazione e la conoscenza degli atti (che comunque non mi basterebbe) per confutare queste parole. Idem dicasi per quello che riguarda l’impianto accusatorio portato avanti dalla FIP, la cui ricostruzione dei fatti è lontana 180° da quella di Sindoni. Le due posizioni non divergono in termini di interpretazione, ognuna di queste due parti accusa l’altra di occultamenti e distorsioni della verità. Posso solo laicamente auspicare che quando la parola “fine” verrà scritta si possano addebitare a chi le ha commesse tutte le condotte colpose o dolose poste in essere.

Il che non toglie che a Napoli non c’è più basket. E a Capo d’Orlando presto la situazione potrebbe essere analoga (non è una previsione ma un’ipotesi). Che delle persone sono rimaste senza lavoro e altre sono state limitate nella possibilità di trovarne uno nuovo. Che un intero comparto è in attesa di un verdetto sportivo definitivo in maniera da potersi regolare. Sono sicuro che ci sono delle ragioni tecniche che possono spiegare questo penoso trascinarsi dei tempi (oh, se poi si potessero conoscere non sarebbe mica brutto).

Ma qui non rileva la disputa tra garantisti e giustizialisti piuttosto che qualche dotta argomentazione “in punta di diritto”. L’avvocato David Stern, uomo di legge dalle visioni aperte e progressiste (senz’altro un garantista a tutto tondo) presiede un collegio monocratico che in poche ore (dopo un’istruttoria) emette sentenze non appellabili ed irroga pene durissime a persone e franchigie (certo non penalizzazioni ed esclusioni, quelle sono un danno per il sistema). Si comportasse così un tribunale “vero” il figlio del salumiere di New York insorgerebbe, forse guiderebbe una rivolta popolare. Ma quando si comporta dispoticamente da giudice, giuria ed esecutore Stern garantisce l’investimento dei suoi datori di lavoro e il loro bene comune. Non truccando carte od ammucchiando polvere sotto il tappeto. Non calpestando etica o giustizia. Ma agendo secondo coscienza e preparazione a tutela delle fondamenta dell’azienda che rappresenta (non delle singole franchigie). Perchè un giudizio che si trascina per due mesi su una questione tecnica diventa un non-giudizio, anzi un disastro.

Sì, potete riattaccare tutte le filastrocche sulle differenze normative, sociali, storiche, culturali ed economiche tra USA ed Italia. Avete ragione, chiaro. Peccato che non c’entri nulla, è solo un’altra foglia di fico. Qui Stern non c’è non perché non lo prevede una legge dello Stato ma perché non lo prevedono gli azionisti di riferimento. Il discorso non serve per stabilire se si può mettere Stern qui o no. Ma per stabilire se si può mutuare lo spirito di quello che viene fatto per garantire il successo ad una lega professionistica di basket, fatte salve le specificità della nostra realtà.E quello si potrebbe fare, basterebbero due ingredienti. Volerlo e saperlo fare.

Questi argomenti dovrebbero essere messi sopra il tavolo. Il problema della presentazione di Venezia, che mi astengo dal criticare per rispetto di quelli che comunque si sono impegnati nell’organizzazione, è la farsesca pretesa di ignorare quell’enorme elefante che in mezzo alla sala oscurava la vista della bella Balivo. Che il re fosse nudo l’ha detto lei quando si è esibita in uno spettacolare “ah già che mi avevano detto di non parlare del Campionato !” dopo un incauto riferimento al calendario-fantasma. Il tutto in una sala galleggiante occupata solo e soltanto da (poche) persone che di quell’elefante conoscono vita, morte e miracoli. Perché da fuori, che culo per una volta, non c’era nessuno. C’eravamo solo noi, generazione che non ha più santi nè eroi.

Questo è solo un blog, una valvola di sfogo per la mia rabbia nel vedere una cosa meravigliosa come il basket trovare in un paese meraviglioso un solo testimonial sempre attuale, Tafazzi. Opinioni a ruota libera, parziali in tutti i sensi. Il campionato prima o poi comincerà, di queste cose parleremo poco o nulla, il rumore si attutirà, tutti continueranno a dare la loro versione dei fatti. Magari fino al prossimo caso Virtus-Vuelle-Basket Napoli, quando scopriremo che tutti sapevano (anzi, sapevamo) e che il vero colpevole è sempre un altro. Non sono Scalfaro, ma se è possibile, non ci sto.

Published inHomepage