POLISEMICO= portatore di più significati.
OLISTICO=relativo a un paradigma filosofico per il quale un sistema non è riducibile alla somma delle sue parti.
Partendo da due parole “difficili”, qualche riflessione su quello che è stato subito percepito (e semplificato) come «caso-Djokovic». Trattasi invece di questione non semplice, non binaria, non banale, bensì polisemica e olistica. Tutti abbiamo, e giustamente, paura della complessità. Essa ci spiazza, ci destabilizza, non ci rassicura. E in questo periodo storico, Dio solo sa di quanta stabilità avremmo invece bisogno. Ciò detto, non possiamo arrenderci senza condizioni alla paura, la peggiore delle cattive consigliere.
Per questo, proverò ad addentrarmi negli scivolosi meandri di quello che si vuole per forza far passare come uno scontro tra pro-Djokovic /pro-vax e anti-Djokovic/anti-vax (anzi, viceversa) quando è molto di più e molto di meno. Provo a farlo da giornalista, munito quindi solamente di fatti, logica e voglia di capire. Non significa affatto che la mia ricostruzione, o quella di qualsiasi collega, sia fedele alla realtà e da sposare in quanto tale. Significa solo che è frutto di un tentativo di imporsi una sorta di auto-disciplina nel pesare e verificare le parole usate, sfruttando il fattore tempo e lo spazio che il foglio bianco offre.
Ho dunque cercato fatti certi, per poi passare a quelli possibili e arrivare infine alle ipotesi. È un fatto certo il post di Djokovic. È un altro fatto certo la regolamentazione di ingresso nello Stato del Victoria. È un terzo fatto certo quanto riportato ieri da organizzatori ed esponenti politici.
A oggi pomeriggio, questi tre fatti dicevano con certezza solo che Novak Djokovic aveva ricevuto un’esenzione (prevista dalle norme federali di cui sopra). Nonostante la fretta nel correre a una conclusione, non potevamo (e non possiamo neppure ora) sapere se questa esenzione sia stata ottenuta in maniera lineare o meno. Figuriamoci ora che è intervenuta un’altra breaking news spettacolarizzata: il mancato sbarco del giocatore e il tweet del ministro dello sport australiano. Sospendendo, per mancanza di elementi certi, giudizi su questi ultimi avvenimenti, torniamo a quanto successo ieri.
Partendo da quei fatti, possiamo interrogarci su due possibilità aperte:
1) Djokovic ha diritto all’esenzione, per cui nulla quaestio, pur fatta salva la possibilità di ragionare su quell’ordinanza. Finchè però essa è in vigore, va accettata e rispettata da tutti. Ritengo quindi pleonastico aggiungere che, se rientrasse nell’ambito dei soggetti aventi diritto all’entrata nello Stato di Victoria, l’eventuale fatto di non essersi vaccinato non farebbe venir meno il diritto in questione.
2) Qualcuno lungo la catena di concessione dell’esenzione ha attestato il falso, oppure la procedura non è stata rispettata. Si dà quindi il caso della presenza – nei documenti presentati per ottenere l’esenzione – di un vizio formale o sostanziale, voluto o frutto di negligenza/trascuratezza, di cui Djokovic potrebbe essere o meno ispiratore e/o cosciente. Che tutti (in primis le autorità politiche!) invertano l’onere della prova e sostengano che deve essere proprio Djokovic a dimostrarci come e perché ha avuto l’esenzione, mi pare assai bizzarro. Tutte quelle autorità hanno infatti dato subito ampie rassicurazioni su come quell’esenzione esistesse e su come fosse stata concessa in maniera corretta e lineare. Se le autorità non hanno detto il falso, e sarebbe gravissimo, le prime spiegazioni dovrebbero fornirle loro, senza più palleggi tra autorità federali, centrali, sportive, mediche, doganali, politiche, di Commowealth.
Una volta accertata (o meno) la legittimità formale dell’esenzione, possiamo (e credo vogliamo) tornare da Djokovic (che ieri era in aereo e ora non è ancora sceso). Ora sì che gli chiederei 1) se ha avuto l’esenzione per uno dei motivi elencati nell’ordinanza, 2) se vuole essere trasparente rispetto a quello che il suo post non diceva, cioè cosa intendeva quando parlava di «avere l’esenzione» e cosa gli è stato comunicato dalle autorità (e dall’organizzatore) prima della partenza e all’arrivo e 3) se vuole spiegarci perché ha scelto la via dell’esenzione rispetto a quella della vaccinazione. Dobbiamo (non possiamo) lasciarlo libero di scegliere tra rispondere a queste domande, il che permetterebbe di comprendere la ratio del suo comportamento, o non farlo, lasciando quindi spazio ai dubbi (con quel che ne consegue). Preferisco di gran lunga la prima soluzione, ma se Djokovic scegliesse la seconda, mi limiterei a esprimere un giudizio fortemente negativo sul suo comportamento. Nulla di più, nulla di meno.
En passant, ne approfitterei anche per depotenziare un po’ questa cosa dello sport come macchina politica. Tutti facciamo politica, tutti ne rispondiamo, ma se gli animali della fattoria sono tutti uguali (e lo sono) bisogna che impariamo a far vivere nei fatti questo principio. Trasformare Djokovic in Emmanuel Goldstein o in Winston Smith (per rimanere a Orwell), farne un coraggioso eroe anti-vax da esaltare per il suo coraggio alternativo o un capro espiatorio anti-vax da esporre al pubblico ludibrio è, a mio avviso, del tutto fuori luogo. Questo ballotaggio tra due rappresentazioni estremizzate (messe in scena) ammonta a spettacolarizzare le vicende, a fare emotainment. Non a informazione responsabile.
Le responsabilità di ognuno di noi di fronte alla pandemia, alla cittadinanza, alla privacy, alla libertà, alla trasparenza, all’informazione e ai molti territori importanti che questa storia lambisce non cambiano a seconda del comportamento di Djokovic, a cui devo riconoscere gli stessi diritti e gli stessi doveri di chiunque altro. Mi sento perciò idealmente in dovere di fargli quelle domande e – di fronte a un eventuale diniego – di trarne le conseguenze. Che riguardano però il tennista serbo, non l’universo mondo. Come giornalisti, dobbiamo cercare fatti e documenti, non strappare “confessioni”. È nostro dovere fare ipotesi plausibili, non correre alle conclusioni. Al momento, quella dell’esenzione richiesta giocando sui “vuoti” dell’ordinanza che regola l’ingresso nel Victoria o, peggio, facendo attestare il falso da qualcuno compiacente sta ancora in piedi. Senza essere una certezza, senza essere scartabile. Se, e ripeto se, Djokovic avesse chiesto (ottenuto?) un privilegio, sollecitando una falsa attestazione per evitare di sottostare alle rigide condizioni di ingresso, il mio giudizio su di lui sarebbe ancora più negativo. In questa ipotesi, peraltro, un’autorità medica e/o politica avrebbe commesso un fatto che è reato in Italia, Serbia e Australia, circostanza sulla quale ritengo giusto vigilare con attenzione. Se poi Djokovic avesse aggirato la responsabilità di sue eventuali scelte, che deve essere libero di fare ma che è molto opportuno rivendicare per trasparenza, allora la mia censura sarebbe perfino maggiore. Concludendo: la fretta, la spettacolarizzazione, la radicalizzazione, la drammatizzazione sono nemici della comprensione e dell’approfondimento. Dipende da tutti noi, Djokovic incluso.
Tutto giusto, ma aggiungerei un elemento: è ora che la fama venga vissuta non solo come privilegio, gloria e fonte di guadagno unlimited. Essere un personaggio famoso, riconosciuto, seguito e ammirato va ritenuta una responsabilità e come tale va prima di tutto interpretata ma subito dopo (anzi prima) normata e giudicata. Far finta che ci siano pari diritti e doveri a fronte di una esistenza che dimostra l’esatto contrario non è la soluzione.