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Short Summers

Ho letto l’intervista che Dajuan Summers ha rilasciato a Yahoo.

Sono molte le considerazioni che si potrebbero fare, ma quelle che eviterei sono proprio le prime che si affacciano alla mente. Accanirsi con l’ex-giocatore di Georgetown per le considerazioni su letti, aerei e trattamenti italiani sarebbe come pensare che “poverino, è abituato all’NBA” : superficiale.

Superficiale come ovviamente è il tono generale dell’intervista, che potete benissimo percepire senza ulteriori sottolineature. Va da sé che la possibilità di fare un’esperienza diversa, di gustare una Cultura nuova e di vivere da privilegiato in una delle città più belle del mondo meriterebbe ben diversa propensione. E va da sé che molti dei “giudizi” espressi sono in realtà pre-giudizi. Pieni di quell’immaturità che è quasi fatale avere a quell’età e con la formazione di chi sognato ed assaggiato l’NBA per poi venirne in buona sostanza respinto. Non che questo la renda ovviamente più giustificabile.

Se l’MPS, che ha costruito una Dinastia elevando ad arte pazienza e continuità, lo ha tagliato, significa che ha ritenuto non ci fossero i margini per far crescere il giocatore. Dicono anche che più o meno la diagnosi dei Pistons non fosse particolarmente diversa, ma come dice Querejeta per gli allenatori, i giocatori sono come le angurie, finchè non li apri non li conosci. E vuoi aprirli tu, non farli assaggiare agli altri.

Il che esaurisce forse il discorso su Summers ma non quello generale. Intanto a me viene da fare un piccolo esame di coscienza per cercare tutte le situazioni (molte, troppe) in cui mi comporto come lui, dando giudizi non soppesati e figli di piccoli o grandi prevenzioni, preconcetti o tabù.

Finita l’autocritica e accantonato Summers (che non fa stato), mi viene in mente che moltissimi addetti ai lavori durante l’estate hanno convenuto col sottoscritto nel considerare Jerel McNeal una gran presa della Fabi Shoes. Oggi però l’ex-Marquette è un giocatore che tira col 24 % scarso ed in piena crisi. Pur essendo arrivato in un sistema di gioco oliatissimo, David Lighty a Cantù non supera gli 11 minuti per gara. E di esempi del genere, da Dunigan a Moore passando per Benson, ne potremmo fare parecchi altri.

In astratto si tratta di giocatori certamente di sufficiente talento per far bene, soprattutto nel contesto di riferimento. Se così tanti e con così diversi background battono in testa, devono esserci dei minimi comun denominatori. Di sicuro parte delle difficoltà hanno a che fare con i pregiudizi di cui sopra. E, visto dalla parte dei club, con un paio di luoghi comuni che forse meriterebbero un’analisi più profonda.

2-3 decadi fa l’ americano doveva fare 25 punti a partita, altrimenti si perdeva. Gli scudetti vinti cambiando Stotts con Boswell, Aza Petrovic e Ballard con Cook e Daye o Wally Walker con JB Carroll appartengono però al passato quanto il Commodore 64 ed i 45 giri. In primis perché di Boswell, Daye e Carroll liberi non ce ne sono. Ed in secundis perché comunque non stiamo parlando di squadre fatte da 8 italiani, di quintetti-base che stanno in campo 35 minuti, di attacchi che per 30 secondi disegnano eleganti ghirigori sul campo e di partite preparate dando un’occhiata al VHS arrivato per posta. E’ tutto diverso, non tutto meglio e non tutto peggio ma di sicuro differente.

Aggiungeteci meno soldi, più concorrenza in Europa, più squadre NBA, ed avrete un quadro in cui comunque l’idea che si possa alterare drammaticamente il quadro facendo venire il fenomeno alla Paolo Villaggio di “Sistemo l’America e torno” è pura illusione. E’ invece vero che ci sono fior di Melvin Booker, Bootsy Thornton e Linton Johnson (per pescare solo tre esempi da un mazzo sconfinato) che non avremmo mai scoperto se, come era stato ormai deciso, fossero stati tagliati a furor di popolo e statistiche deludenti.

Questo non significa che aspettando tutti diventano dei Thornton, anzi. Anche se nel caso di specie sarei dispostissimo a scommettere che tra un paio d’anni per Lighty e McNeal si scateneranno aste milionarie nel Vecchio Continente. Il punto vero però è che se a questi giocatori viene chiesto di essere quello che non sono (McAdoo, Danilovic o Shackleford per intenderci), di sicuro non lo diventano. Piccolo addendo: le valutazioni di cui stiamo parlando attengono per il 95 % ai punti segnati e per il 5 % al lato comportamentale, fatte salve le meritorie eccezioni. Nel basket e nella vita però, per fortuna !, c’è anche dell’altro. Tipo difesa, intanglbles, upside ed altri termini, non tutti anglofoni, che dovrebbero concorrere alla valutazione in questione.

Non basta. Il mercato USA offre comunque una vasta rosa di nomi su base stagionale, a differenza di altri, segnatamente quello nostrano. Un’altra ragione per cui, nel momento in cui invale l’equazione “va male=devo cambiare” ci si rivolge di là, e le farneticanti regole sui passaporti inducono a cambiare un USA con un USA. Magari rivolgendosi a chi l’Europa la conosce già, così si riducono i tempi di adattamento (vero). Col risultato però di stra-valutare alla lunga l’esperienza rispetto al valore intrinseco del giocatore. Al netto di tutti i casi specifici e di tutte le carenze dei singoli, a macro-livello mi pare si possa avanzare l’ipotesi che tutti questi fattori concorrano con le inadeguatezze tecniche e culturali dell’ USA di turno a creare una situazione non ottimale.

Sarebbe facile liquidare tutto quanto sopra come il solito Tranquillo americanofilo. Fate pure se vi fa piacere, ma l’idea era del tutto opposta. Postulate le clamorose carenze culturali e la conclamata difficoltà nel reperire sostituti superiori (specie in poco tempo sotto la pressione dei risultati negativi) forse varrebbe la pena di non dare a chi arriva l’impressione di essere qui a tempo. Ne guadagnerebbero tutti, compresa la qualità dello spettacolo. Che curiosamente non viene mai presa in esame quando si cercano i mali del prodotto-basket.

Ma se io so che oggi sarò una pedina di un “Horns up” in Italia in attesa della Germania tra due mesi e del Belgio tra 7 (o viceversa) non sarà poi il caso di lamentarsi se sembra che tutti giochino alla stessa maniera e se manca lo spirito. E fatemi aggiungere, se i ritardi nei pagamenti sono l’argomento del 90 % delle conversazioni tra addetti ai lavori, forse la possibilità di fare filosofia è ancora minore.

Insomma, certo la soluzione non l’ho. E certo se dovessi ragionare davanti allo spettro della retrocessione (vero e presunto che sia) anche io telefonerei in giro per sapere chi è libero e cambierei Smith con Williams (che certo non è quello che ha fatto Siena, sia ben chiaro). Ma il meccanismo visto nel suo insieme mi sembra vivere più di abitudini che di analisi. Interrogarsi su come fermarlo (levando le retrocessioni ?) potrebbe avere un bel po’ di senso.

Published inHomepagePensieri a raffica

16 Comments

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  10. Sirio Campolungo Sirio Campolungo

    secondo me Summers ha pagato più il confronto con il rendimento di Hairston di quest’anno, che le aspettative su di lui. Se Hairston non avesse iniziato così bene, mettendo nella mente di Minucci il tarlo della scelta sbagliata, probabilmente avrebbe avuto più tempo. Posto che Rakocevic andava preso anche prima, ritengo che Summers vada comunque rimpiazzato con un 3/4 (più 4 che 3).

  11. Matteo C. Matteo C.

    Il taglio di summers è dovuto al fatto che il giocatore qua non stava bene, non riusciva ad ambientarsi, e per questo motivo rendeva anche al di sotto delle sue potenzialita..credo che credesse di venire qua e giocare 40 minuti in quanto ex nba..in effetti in preseason è stato così, ma mancava anche qualche giocatorino……
    se si sbroglia la situazione Thomas, siena si coprirà anche nella posizione di ala piccola

  12. Matteo Piu Matteo Piu

    quello che tu dici è vero Marco , Siena non sta giocando molto bene , però ci vuole ancora un po’ per dare i primi giudizi sia per Siena (di cui sono tifoso) sia di Milano ….. Evidentemente Summers non era il degno sostituto per Hairston …. Gli errori li fanno tutti , anche dirigenti esperti come Minucci

  13. Marco Sgnaolin Marco Sgnaolin

    Matteo, condivido le tue considerazioni sulla partita di Milano ieri sera, ma credo e spero (in realtà lo credevo già dopo Pesaro, quindi chissà…) di aver visto il peggio che questa squadra può dare.

    Tornando in topic, Mi sembra davvero difficile tagliare un americano dopo 4 partite di campionato nelle quali il suo utilizzo è stato marginale per scarso rendimento. In pre-season aveva minutaggi diversi e rendimenti diversi. peraltro mi pare di poter dire che non si sta vedendo del basket scintillante in queste recenti uscite (almeno in Italia) della MPS, o per lo meno non il basket a cui siamo piacevolmente (io da milanese un po’ meno, ma tant’è) abituati.

    Quindi credo che il taglio vada oltre il mero rendimento del giocatore, credo ci sia dell’altro, magari lo stesso DaJuan ha detto che non è cosa, oppure ha combinato qualcosa, chissà…

    Certo fa specie veder tagliare un giocatore ad una squadra che negli anni è riuscita a riesumare le salme di Thornton e di Jaric. A naso il lavoro con Summers (che era dipinto come tutt’altro che una salma) avrebbe dovuto essere più semplice…

    Consola il fatto che, se il taglio è motivato con il rendimento, ogni tanto anche Minucci prende qualche “sola”.

    Ciao

  14. Matteo Piu Matteo Piu

    rifacendomi a quanto detto da marco prima il taglio di Summers è dovuto ad un insufficiente rendimento del giocatore , forse è vero che era meglio prendere un lungo piuttosto che una guardia come Rakocevic ; ma allora per evitare tutti i problemi sopracitati da Marco e da te Flavio , non era meglio per siena tenere Hairston ? Poi sul testa a testa con Milano ho da ridire perchè è vero che Milano ha uno squadrone , ma se perdi partite come quella con l’Efes di ieri ci fai poco (vedi Miami Heat che con quei 3 non hanno vinto nulla)

    Cosa ne pensi Flavio ?
    Saluti
    Piu Matteo – Novi Ligure

  15. Fabrizio Fabrizio

    Non ho ancora avuto occasione di vedere Siena quest’anno ma concordo sulla tua analisi generale…

    Onestamente negli ultimi anni (da appassionato di basket, tifoso Varesino e abbonato da ormai 22 anni a Varese) se ne son viste di tutti i colori riguardo giocatori USA…anche alle mie latitudini…

    Eravamo abituati una 20ina di anni fa ad aspettare l”Americano” come il giocatore che portava valore aggiunto, punti, spettacolo, leadership, insegmamenti, ecc ecc il tutto però in una squadra con altri 8 italiani, a volte anche espressione del basket “locale”…

    A Varese ai tempi di Pittman/Thompson c’era una squadra fatta di Vescovi, Sacchetti, Boselli, Caneva, Rusconi, ecc ecc

    Penso che un “contorno” del genere permettesse:
    – una sorta di “certezza” di ambientamento x i giocatori USA
    – un diverso spirito di squadra…giocatori che erano anche espressione della città sputavano l’anima fino all’ultima partita, stagione positiva o meno
    – in questo ambiente, i classici alti/bassi del giocatore USA nella fase di ambienamento venivano ammortizzati dalla maggiore stabilità di rendimento dello “zoccolo duro” italiano

    Oggi le squadre sono “multinazionali”…non esistono più “zoccoli duri” e, soprattutto in realtà come Varese, dove, onestamente da qualche anno si parte senza obiettivi se non quello della salvezza…se la stagione parte “male”…si percepisce come uno graduale scollamento…che porta a uno spettacolo indegno da un punto di vista dello SPORT…e purtroppo, spesso, in queste situazioni i primi a “mollare” gli ormeggi sono i ragazzi USA, soprattutto quelli neofiti nell’esperienza EUROPEA…
    Risultato è che a Varese negli ultimi anni la migliore stagione è stata quella della vittoria nella ex A2 al massimo campionato… Squadra in gran parte italiana, con un paio di USA, uno “navigato” l’altro giovane ma inserito in un contesto “solido” !

    Quest’anno a Varese abbiamo preso Justin Hurtt…
    Alla 4a giornato siamo a 3 vinte e una persa (con Milano)…quindi ottimo inizio…
    Justin è il classico ragazzo con buon curriculum universitario e che si sta ambientando nella sua nuova vita da “professionista”…la squadra è partita bene perchè ha un’ottima condizione atletica e difende fortissimo…
    Justin onestamente in tanti momenti sembra completamente spaesato…ma fin quando lo “zoccolo” tiene…penso che potranno essere “ammortizzati” gli ampi mommenti di totale assenza di Justin…
    Il problema è che la gente (che sento al palazzetto) si aspetta ancora oggi che il giocatore USA sia l'”americano” di un tempo…quindi un giocatore che fa la differenza…e quindi nel caso abbia un rendimento diverso da quello che una volta era il rendimento dell'”Americano”…iniziano i mugugni, i fischi, i commenti, ecc ecc …

    Secondo me ancora più di un tempo, per quello che ho premesso sopra, nella scelta dei giocatori USA OGGI è fondamentale l’aspetto caratteriale…la professionalità a 360°…unica condizione per poter lasciare un segno nel nostro attuale basket…
    L’anno scorso a Varese abbiamo avuto Phil Goss; all’inizio pochi minuti…poi via via un crescendo, nel silenzio e nella serietà di un vero professionista…per finire la stagione da leader della squadra…senza far il fenomeno o simili…

    Quindi bene i giocatori USA…
    Ma meglio i professionisti seri…
    Soprattuto in squadre come la mia Varese di oggi che non può permettersi troppi errori per non vedersi a rischio retrocessione…
    Più che VHS, DVD o YOUTUBE…penso siano più utili colloqui a “quattrocchi” sperando che dall’altra parte ci sia qualcuno che sappia lettere negli occhi per fare scelte giuste…

    Ciao

    Fabrizio

  16. Marco Sgnaolin Marco Sgnaolin

    Quanto aveva ragione Mike Hall in tempi non sospetti qui : http://www.sportando.net/eng/usa/nba/21884/mike_hall_is_on_fire_on_twitter.html

    Ora, a parte le considerazioni “frivole”, dal canto tecnico il taglio di Summers apre un paio di questioni. 1) Anche Minucci ogni tanto becca qualche “sola”. 2) Tagliare Summers e prendere Rakocevic significa lasciare un buco in frontline e rimpolpare un backcourt già bello pienotto. 3) In un testa a testa con Milano questa mossa pare essere un discreto suicidio tecnico, vista la “pesantezza” di Milano in Frontline.

    Cosa ne pensi Flavio?
    Ciao
    Marco Sgnaolin – Milano

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