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Plusvalenze e semplificazioni

Posso certamente sbagliarmi, ma mi pare di capire che si ritenga di poter riassumere la questione delle plusvalenze, in attesa del davvero celere pronunciamento sportivo di primo grado, nei termini di una scelta obbligata tra un’accusa che “ha fissato valori arbitrari dei giocatori” e una difesa che “attacca queste argomentazioni spiegando perché non esiste un valore certo dei calciatori”.

Intanto, fateci caso, è sempre una questione a 2: Juve-resto del mondo, Procura-difese, Simeone-Guardiola, Savic-Foden, Savic-Grealish, calcio dei poveri-calcio dei ricchi, etc. etc. etc. E l’unica domanda è: «tu, da che parte stai?». Chi non risponde è un eunuco, chi vuole capire fa solo melina, chi opera dei distinguo è un nemico dell’accertamento rapido (e sempre indolore, fateci caso) della verità.

Del verdetto che verrà emesso domani dal Tribunale federale, con il massimo rispetto della predetta corte, prenderò atto, provando a capirne la logica. Poi seguirò laicamente il (lungo) prosieguo della vicenda su altri terreni, con ben altra attività istruttoria e ben altri approfondimenti. Sono però certo di alcune cose, anche se, ahimè, non permettono di stabilire «da che parte stare».

1) La materia del contendere è il valore da assegnare a bilancio (non quello astratto e immanente) a un bene immateriale, ovverosia il diritto a utilizzare per più anni le prestazioni dei calciatori. Non il valore dei calciatori in carne ed ossa, che sono persone, non macchinari. Considerare questo diritto pluriennale come una posta attiva dello stato patrimoniale dovrebbe essere oggetto di una riflessione più ampia. Ricordo a tutti che c’è stata la sentenza Bosman, e che negli altri mercati è difficile che si voglia pagare 100 il “diritto” di stipendiare con 10 un lavoratore che deve godere di una certa libertà, fatti salvi gli obblighi contrattuali in essere con il datore di lavoro. Anche perché statisticamente, prima o poi, scoprirò a posteriori di aver sostenuto un costo di 110 per un lavoratore che non valeva quei soldi, e il mercato non si farà carico della differenza tra il valore ex-post e quei 110. Almeno nel mondo reale, dove “mercato” vuol dire certe cose. Certo, qualche volta scoprirò di aver speso 110 e di trovarmi un valore di 220 in mano, ma non tutte le volte, eh…

2) Questo valore deve essere determinabile da chi è preposto alla redazione del bilancio e da chi, in ogni sede, è responsabile della correttezza del documento e del controllo di legalità. Se quel valore non è determinabile (paradosso) allora non si può neppure iscrivere a bilancio. Perché non posso certo iscrivere a bilancio un valore di cui ignoro la congruità e che non è verificabile. Diverso è dire che la determinazione del valore corretto è complessa, difficile e multifattoriale (verissimo). Aggiungo: questo valore non è immutabile nel tempo. La sua svalutazione/rivalutazione va (andrebbe?) registrata e motivata in ciascun esercizio.  Valori  che hanno “de botto” impennate e cali di questa portata senza alcun precursore dovrebbero portare ad ulteriori riflessioni.

3) Come si fa a determinare questo valore? La risposta è lunghissima, ma sono certo che tutti quelli che hanno una certezza incrollabile sulla colpevolezza/innocenza degli imputati abbiano letto con la dovuta attenzione i testi di riferimento. A partire, of course, dallo IAS 36.

4) Troppo lungo lo IAS 36? Eh, lo so, ma allora non si può “semplificare” tutto senza ancorarlo a qualcosa di certo. E comunque esistono anche principi generali di redazione del bilancio sanciti dal CC, come:

  • la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato
  • si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio;
  • si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento;
  • si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio anche se conosciuti dopo la chiusura di questo;
  • gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutate separatamente;
  • i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro.

5) Anche in assenza di qualsiasi rilievo sportivo, civile o penale delle condotte (altro paradosso), non c’è alcun dubbio che il peso degli ammortamenti, una certezza che non va asseverata da alcuna sentenza, conduca a una incerta continuità aziendale in più di un caso. Mi pare che questo aspetto trovi poco pubblico rispetto a quello che si assiepa nelle rumorose curve che plaudono incessantemente e acriticamente a procuratori federali e avvocati difensori, “demolendo” le tesi avverse con quattro parole suggerite.

6) Per tutti i summenzionati motivi, lascio volentieri ad altri il commento di domani sulla “congruità” delle sanzioni irrogate e/o dei proscioglimenti disposti. Certo che alcuni ben noti Gattopardi non devono aspettare alcun verdetto per sapere di aver già vinto, per l’ennesima volta.

 

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One Comment

  1. Alessandro Alessandro

    Buongiorno Dottor Tranquillo, sono Alessandro Legnazzi, avvocato in Savona. La materia delle plusvalenze è spinosa e incerta. Oltre a quanto Lei ha ben scritto, provo, tuttavia, a porre sul tavolo due ulteriori “rimedi”, in crescente ordine di brutalità, ben conscio che entrambi mostrano punti dolenti:

    1- spalmare la plusvalenza assestata suddividendola equamente sul numero di anni del contratto, andando così a ritroso

    2- una tassa sulla plusvalenza assestata

    Saluti

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