A completamento del post precedente e all’atto di ricevere la sentenza del GIP bolzanino, ritengo opportuno sintetizzare il contenuto del provvedimento giudiziario, onde esplicitare l’urgenza del serio chiarimento evocato. Rimane infatti impossibile credere che le istituzioni sportive (IAAF, WADA, FIDAL) possano liquidare con un semplice comunicato le conclusioni del Dottor Pelino. Farlo significherebbe infatti certificare implicitamente il loro intento fraudolento, per come puntualmente (nella sua idea) ricostruito dal giudice. Reitero quindi il concetto: se le conclusioni del magistrato sono corrette, l’intero sistema di giustizia sportiva va completamente ripensato, ben al di là di responsabilità individuali, che pur sarebbero rilevantissime. Per giungere a una conclusione contraria, serve un eventuale ragionamento, analogamente puntuale in senso fattuale e logico. Un ragionamento in grado di ribaltare quello portato avanti dall’estensore della sentenza, che si riassume di seguito per sommi capi.
L’ordinanza che dispone l’archiviazione del procedimento nei confronti dell’atleta di Racines prende la mosse dalla richiesta avanzata in tal senso dal PM. Nell’accoglierla, il GIP sottolinea che dire, come fa il collega, che è innegabile che l’intera vicenda sia connotata da elementi di <opacità>” evidenzia la “debolezza intrinseca delle conclusioni del Pubblico Ministero nella parte in cui quest’ultimo ritiene non provata la tesi difensiva della manipolazione delle provette”. Secondo il Dottor Pelino, “i dubbi che hanno fermato il Pubblico Ministero a metà del guado sono frutto della produzione di atti falsi e decettivi con cui i consulenti nominati da WADA hanno tentato di inficiare i dati emersi dalla perizia”, e l’eventuale gravità di questo assunto rispetto alle così ricostruite condotte di WADA non può sfuggire a chicchessia. Gli elementi addotti a sostegno di questa tesi sono, tra gli altri,
1) la dichiarazione, definita “gravemente mendace”, che l’originario campione B di urine conteneva appena 6 ml di liquido invece dei rilevati 18. Non di svista, secondo Pelino, si tratterebbe, ma di volontà di vanificare l’espletamento della perizia;
2) la vicenda delle e-mail intercorse tra il capo dell’ufficio anti-doping della IAAF e il suo legale, che il PM non aveva ammesso ritenendole illecitamente acquisite. Queste e-mail, secondo la ricostruzione del magistrato, erano “finalizzate a esercitare una pressione sul laboratorio di Colonia affinché resistesse alla richiesta di consegnare i campioni sequestrati”, per cui si configurerebbe non già una semplice opacità ma un’illecita interferenza.
Il GIP ripercorre le anomalie della catena di custodia e le violazioni del principio dell’anonimato assertivamente poste in essere da WADA e IAAF, e nel riassunto finale afferma che
per il principio di vicinanza della prova non è consentito a IAAF e WADA, che, come provato documentalmente, hanno impedito di accertare se il contenitore presentasse segni di effrazione, invocarne l’integrità e con essa l’integrità della catena di custodia. Neppure il consulente di parte, dott. Pieraccini, potè verificarlo in sede di controanalisi (a dimostrazione del fatto di come non funzioni la pseudo garanzia per l’atleta). Men che meno è corretto invocare la perizia per affermare l’integrità della catena di custodia: sin dal primo elaborato peritale il perito ha rilevato che la catena di custodia è in ordine solo sulla carta ma non nella realtà. Vi è cioè solo una parvenza di regolarità del tutto smentita dalla situazione fattuale riscontrata (il caso della provetta scongelata e non sigillata che si pretendeva di consegnare al perito è d’altronde più che emblematico di tale situazione). D’altronde, che catena di custodia è quella in cui a) l’atleta al quale il campione d’urina si riferisce è immediatamente riconoscibile, b) vi sono aliquote d’urina non sigillate e perciò stesso liberamente utilizzabili da quanti vi abbiano accesso, c) anche i campioni sigillati possono essere agevolmente manomessi lasciando tracce che solo una perizia potrebbe accertare (che sul punto è stata preclusa dall’ostruzionismo di WADA e IAAF), e d) non vi è alcuna reale garanzia per l’atleta, visto che tutte le aliquote sono custodite nel medesimo laboratorio e nessuna è preservata in luogo terzo?
La consulenza depositata con un “ulteriore colpo a sorpresa” l’11 settembre 2020 viene definita in sentenza “dal carattere diffamatorio” e viziata da “motivi di rivalsa personale nei confronti del perito”. Più avanti, a questo proposito, si dice che
secondo i due “consulenti” il perito è un ciarlatano, i consulenti di parte che avevano partecipato al contraddittorio degli incompetenti, e il giudice un ingenuo che si è lasciato ingannare da dati “fatti in casa” e privi di validità scientifica in quanto in contrasto con l’opinione di una (fantomatica) letteratura corrente. Al di là del carattere palesemente diffamatorio di queste affermazioni (per giunta commesso da due persone che non avevano titolo ad essere nominate come consulenti per il divieto di cui all’art. 225, co. 1, c.p.p. e di qui la ragione delle virgolette), nonché della spregiudicatezza di chi le ha proposte e di chi le ha fatte entrare nel processo con quelle modalità (il legale di WADA), quello che preme qui rilevarne è l’assoluta falsità ideologica e la strumentalità ai tentativo di frode processuale che anche per il tramite di esse è stato perpetrato.
Bocciata per motivi logico-giuridici l’astratta ipotesi che la concentrazione abnorme del DNA nell’urina sia dovuta all’assunzione di testosterone, si censura quindi con forza il venir meno, da parte di WADA, dell’impegno liberamente assunto di collaborare alle indagini. Per la sentenza, l’anomala concentrazione di DNA potrebbe essere stata determinata solo da una patologia o da una modifica, voluta o fortuita, subita dal campione di urine. Scartata la prima ipotesi per motivi di carattere scientifico, rimane solo la seconda, che sarebbe plausibilmente avvenuta per un riscaldamento che avrebbe provocato per evaporazione la predetta concentrazione anomala. Di questo non esiste una prova diretta, ma non essendo, ad avviso del GIP,
emerse ipotesi alternative nel lungo e articolato contraddittorio, i gravi e convergenti elementi riscontrati consentono di formulare, come unica spiegazione convincente, quella della manipolazione.
Che le e-mail sopra citate siano autentiche, è per il Dottor Pelino pacifico perché il fatto è
implicitamente confermato dalla stessa IAAF, che, il 3.04.2017, aveva denunciato l’attacco informatico subito da Fancy Bear, riferendo anche che questo era stato scoperto il 21.02.2017, cioè proprio il giorno dopo l’invio delle mail in questione. Un ulteriore comunicato stampa veniva poi effettuato da IAAF il 6.07.2017. Anche WADA in data 13.09.2017 e 14.09.2017 ha effettuato due comunicati stampa per denunciare l’attacco informatico di Fancy Bear. Nemmeno l’ingenuità più piena o la fantasia più fertile darebbero credito alla tesi per cui importanti organizzazioni internazionali, in più occasioni e tempi del tutto coerenti, avrebbero denunciato il furto di dati (mail nella fattispecie) che non esistono.
Chiarita, in diritto, la loro piena utilizzabilità, la sentenza riporta quindi alcuni dei messaggi intercorsi. A titolo esemplificativo, e non esaustivo, questi sono alcuni degli scambi riportati.
Ciao R—,
si rendono conto di essere parte dei complotto contro A.S. e delle potenziali conseguenze per loro? Hans probabilmente ha bisogno di più informazioni sui retroscena.Penso di essere riuscito a convincerli. Ho detto che dovrebbero considerare che il campione dovrebbe essere conservato a lungo termine. Sono contenti di istruzioni verbali in tal senso.
Elencando 12 motivi di fatto a sostegno, il GIP di Bolzano ritiene che si “configura senza dubbio
un comportamento gravemente illecito da parte del legale di IAAF,” e che “anche sotto questo profilo le mail in questione non solo possono, ma debbono essere prese in considerazione, in quanto costituiscono corpo di reato”. Segue quindi un ragionamento di carattere scientifico e statistico che porta l’estensore a concludere che “è scientificamente rigoroso parlare di anomalia” rispetto all’abnorme concentrazione.
Tornando alla questione del dolo, la sentenza sostiene che
quando, nell’ambito delle analisi sul DNA, è emerso il dato relativo alla concentrazione, WADA, che evidentemente ne aveva ben compreso la pericolosità, ha cercato da subito di correre ai ripari e lo ha fatto con la strategia che ha caratterizzato la sua difesa durante tutto l’incidente probatorio, cioè violando il contraddittorio.
Torno a dire che è questo il punto su cui dovrebbe concentrarsi la nostra attenzione, per la sua valenza potenzialmente devastante. Nella sentenza trovano infatti spazio espressioni come “mistificazione della realtà”, “dimenticanza non casuale”, “dati palesemente inverosimili e non documentati al dichiarato scopo di volere inficiare quanto emerso dalla perizia”, “affermazione falsa”, “tentativo di trarre in inganno il giudicante”, “una serie impressionante di artifici e dichiarazioni false”, “un castello di carte costruito ad arte per ingannare”, “arroganza” e “impudenza”. Il cuore della questione, per noi che siamo osservatori esterni, arriva a pagina 76, quando il Dottor Pelino afferma che
Nell’odierno sistema WADA e IAAF operano in maniera totalmente autoreferenziale ed il presente procedimento ha eloquentemente dimostrato come esse non tollerino affatto controlli dall’esterno ed anzi siano pronte a tutto per impedirlo, al punto da produrre dichiarazioni false e porre in essere frodi processuali. Il controllante e il controllato finiscono per coincidere, anzi per invertirsi, come le mail di cui sopra si è diffusamente esposto, da cui emergono le pressioni subite dal laboratorio di Colonia, eloquentemente dimostrano.
Potrebbero le conclusioni a cui è giunto il magistrato essere viziate dalla cosiddetta “teoria del complotto”? Pelino lo esclude con queste parole.
A sostegno di questa conclusione vi è non solo un elemento di prova forte (l’anomala concentrazione del DNA riscontrata nei campioni) che non trova altra spiegazione credibile se non nella manipolazione, corredato da molteplici indizi gravi precisi e concordanti, non ultimi i reati commessi per impedire la consegna del campione B e per cercare di smentire poi l’esito della perizia, ma anche un preciso movente. La Difesa Schwazer ha, infatti, dedotto sin dall’inizio e più volte ribadito (e la circostanza non è mai stata smentita sicché è da ritenere senz’altro acciarata) che la decisione di effettuare il controllo a sorpresa era partita il 16.12.2015, cioè, guarda caso, il giorno in cui Alex Schwazer aveva testimoniato contro i medici della federazione di atletica, —– e ——- che avrebbero spinto gli atleti a doparsi. Doping di Stato, dunque, e una testimonianza pericolosa che non solo veniva dall’interno di quel mondo, ma anche da un atleta che aveva scelto come proprio allenatore il paladino dell’antidoping: Sandro Donati. Colpire Schwazer significava, dunque, neutralizzare quella pericolosa testimonianza e al tempo stesso, neutralizzare Sandro Donati, da quel momento allenatore di un dopato. I due medici della federazione erano stati, ciò nonostante, condannati in primo grado e poi assolti in appello, laddove la testimonianza di Schwazer, squalificato per doping per 8 anni dopo una precedente squalifica sempre per doping, non era apparsa credibile e la tesi della manipolazione appariva, allora, inverosimile e, comunque, tutta da dimostrare. La Difesa ha anche evidenziato che l’unico controllo che sia mai stato effettuato nel giorno di capodanno è stato proprio quello a carico di Alex Schwazer ed anche questa è una circostanza singolare che non è mai stata smentita.
In maniera parimenti integrale si riportano di seguito le conclusioni della sentenza.
1. ritiene accertato con alto grado di credibilità razionale che i campioni d’urina prelevati ad Alex Schwazer 1’1.01.2016 siano stati alterati allo scopo di farli risultare positivi e, dunque, di ottenere la squalifica ed il discredito dell’atleta come pure del suo allenatore, Sandro Donati; 2. ritiene sussistano forti evidenze del fatto che nel tentativo di impedire l’accertamento del predetto reato siano stati commessi una serie di reati che di seguito si elencano: a) falso ideologico in relazione alla dichiarazione di disporre di soli 6 mi di urina nell’originario campione B, essendosi acciarato che ve ne erano circa il triplo (18 mi), al fine di indurre in errore prima lo scrivente e poi la Corte d’Appello di Colonia che in effetti ha concesso 6 mi, laddove la letteratura scientifica esistente fino a quel momento (gennaio – febbraio 2017), allegata dalla stessa IAAF, indicava in 10 mi la quantità minima per l’effettuazione di indagini genetiche: lo scopo evidente (e dichiarato nelle opposizioni alla rogatoria) era quello di impedire la consegna del campione B posto a garanzia dell’atleta; b) frode processuale in relazione alle predette dichiarazioni, alle pressioni esercitate sul laboratorio di Colonia (che emergono dalle mail intercorse tra R—, T—- e H—- e dal successivo atto di opposizione alla rogatoria internazionale dell’istituto di Biochimica, interamente appiattito sulla posizione IAAF) affinché questo si allineasse, come poi ha fatto, alle posizioni di IAAF nell’opporsi alla rogatoria internazionale per la consegna dei campioni già sequestrati nonché alla dichiarazione che i campioni dovessero rimanere in loco in vista di eventuali future cause civili (ove emerge dalle stesse mail che solo dopo la richiesta dell’avv. R—- il laboratorio aveva disposto lo stoccaggio a lungo termine proprio per poter sostenere detta tesi) e infine nel tentativo di consegnare un aliud pro alio (la famosa terza provetta non sigillata e già scongelata di cui IAAF aveva dichiarato l’esistenza nella sua opposizione);c) falso ideologico finalizzato a coprire il precedente falso, consistito in una dichiarazione scritta, giusta la quale la predetta indicazione sulla quantità (6 mi) sarebbe stata frutto di un errore dovuto al fatto che l’urina era congelata;d) falso ideologico, frode processuale e diffamazione in relazione alla consulenza d.d. 29.10.2020 redatta, per contro di WADA, dai professori —– e —– e prodotta in giudizio dall’avv. S—–, legale di WADA, in violazione del contraddittorio e del disposto dell’art. 225 c.p.p., laddove, al fine di contestare che la concentrazione del DNA riscontrata nell’urina dell’ 1..01.2016 fosse da reputarsi anomala (e perciò stesso costituisse prova della vi fossero una letteratura corrente e dati scientifici, da essa ricavabili, in contrasto con quanto emergeva dalla perizia e rafforzato questo inganno:- con una tabella creata ad arte, recante “Confronto tra i dati di letteratura e i dati probatori Lago” ed allegata sub 2 alla consulenza prodotta ad incidente probatorio concluso e contenente dati che o sono falsi o sono artatamente prospettati dai consulenti al predetto scopo di far ritenere rientranti nella normale variabilità quelli emergenti dalla perizia, dati che, a tacer d’altro, non vengono in alcun modo documentati;- con una dichiarazione di pari data (29.10.2020) del responsabile del laboratorio di Losanna, allegata sub 4 alla predetta consulenza, in relazione ad un’analisi genetica condotta da WADA (in violazione dell’anonimato e del contraddittorio) su un campione d’urina prelevato ad Alex Schwazer il 27.06.2016 in cui sarebbe stata riscontrata, ad un anno e quattro mesi dal congelamento, una concentrazione di ben 14.013 pg/p.1 (picogrammi per microgrammo) giudicata del tutto inattendibile dal perito, dichiarazione intesa ad integrare il dato mancante della quantità di partenza;- nel far passare per errore del perito la mancata valutazione di questo dato, indicato ora per allora il 29.10.2019 – ma senza produrre il documento originale – attraverso la suddetta dichiarazione scritta dì pari data anch’essa redatta e depositata ad incidente probatorio concluso: “Egli si attarda a formulare rilievi privi di significato (…). Ne riproporrò un repertorio: (…) non è conoscibile la quantità messa in analisi (errato: quattro millilitri)” (pag. 17); circostanza ulteriormente rafforzata dal legale di WADA, che nella memoria del 30.10.2020, cui la consulenza e gli annessi documenti sono stati allegati, rilevava un “affrettato e imprudente giudizio di inattendibilità” (pag. 22), anche se fondava detta accusa nel non aver chiesto la documentazione a WADA (“senza nemmeno chiedere a W.A.D.A. la documentazione che ritiene mancante”)-,- nel dichiarale falsamente la sussistenza di altri gravi errori del perito;Si rimette al Pubblico Ministero accertare se in relazione alla documentazione non trasmessa da WADA in relazione alla suddetta analisi genetica, condotta a Losanna nell’ottobre 2017 e alle spiegazioni fornite dal direttore affari legali di WADA, J——-, con nota del 10.12.2019, emergano ulteriori falsi. In particolare in detta nota si afferma, tra l’altro, che l’analisi sarebbe stata originata dall’accusa di uno scambio di provette ipoteticamente avvenuta nel maggio 2010 ed emersa nel maggio 2017, si forniscono indicazioni sui tempi di conservazione dei campioni risultati positivi (che contrastano con quanto dichiarato innanzi alla Corte d’Appello di Colonia) e di quelli risultati negativi, e si afferma, in particolare, che “le concentrazioni di DNA sono estremamente variabili. Il tutto sempre senza documentare adeguatamente queste affermazioni che rimangono perciò totalmente autoreferenziali (così come le affermazioni dei due “consulenti” WADA di cui alla citata tabella).
Sono conclusioni pesanti, non c’è che dire. Lo sono perché provengono da una fonte documentata, che è stata in grado di svolgere una copiosa attività istruttoria e che ha lavorato in scienza e coscienza nel nome del popolo italiano. Conclusioni che, peraltro, rimangono soggette a eventuali ulteriori vagli, sia in sede giuridica (vedi trasmissione degli atti) sia in sede sportiva. Rimane il fatto che, nel rispetto di tutti, ora dovrebbe prodursi qualcosa di più che un paio di giorni di indignazione e qualche polemica via comunicati. Serve altro, ben altro: se il Dottor Pelino non sbaglia, quanto avvenuto deve rappresentare uno spartiacque, non c’è altra scelta.
ADDENDUM
In serata arriva anche la replica di World Athletics (ex-IAAF), che non sembra però andare nella direzione della auspicata trasparenza. Detto da chi non ha alcun pregiudizio a favore o contro alcuna delle parti coinvolte e non crede che la vicenda sia giunta alla sua conclusione definitiva. Ritengo però indifferibile per WA entrare nel merito della ricostruzione del Tribunale di Bolzano, per specificare la propria posizione punto per punto.
“World Athletics preferisce non commentare la decisione delle Autorita’ Italiane di non perseguire l’atleta per il crimine di ‘dopaggio’. Questa e’ una questione di legge nazionale. In tutti i casi, rifiutiamo in modo risoluto qualsiasi intento da parte dell’atleta o qualsiasi altra persona di minare o annullare la decisione finale e vincolante del Tribunale Arbitrale dello Sport (Tas), sulla base di quelle che possono essere descritte solo come teorie di manipolazione inverosimili”. “La Wada si è unita a World Athletics nel rifiutare completamente qualsiasi suggerimento di manipolazione in questo caso – continua la nota -. World Athletics ha recentemente difeso con successo un’appello dell’Atleta al Tribunale Federale Svizzero che chiedeva una revisione della sentenza del Tas sulla base della presunta manipolazione”. La conclusione di ‘World Athletics’ è che “il signor Schwazer non potrà partecipare a competizioni internazionali fino al 2024“.