TRASPARENZA
Dobbiamo la nostra conoscenza su questa vicenda quasi esclusivamente all’ottima abitudine australiana di pubblicare tutti i documenti ostensibili (perché conosciuti dalle parti) e di dare pubblicità alle udienze. Ritiene il sistema giudiziario australiano, e io condivido entusiasticamente, che se c’è interesse pubblico (e qui c’è) dare accesso uguale ed immediato a tutti in un solo modo sia la cosa migliore. Se succedesse anche in Italia, periodo ipotetico dell’irrealtà, ne trarrebbero giovamento il pubblico e coloro i quali cercano di ricostruire i fatti come base di partenza per le opinioni. A essere danneggiati sarebbero invece mercanti e compratori di atti forse pubblicabili e forse no (ovvero certamente segreti), che arrivano a spizzichi e bocconi all’opinione pubblica, creando un quadro comunque parziale e ingannevole.
Detto questo, rileva che senza quegli atti non sapremmo praticamente alcunchè. Sia le autorità australiane sia Djokovic, nel loro comportamento in pubblico, hanno espresso contenuti ben diversi da quelli che hanno poi versato negli atti, risultando nella migliore delle ipotesi evasivi. Il sistema comunicativo dei post e quello delle conferenze stampa sono fatti apposta per illuminare una sola faccia della medaglia. Se ciò fino a un certo punto è accettabile, quando lo si fa in così grande stile si scatena la famosa «bufera social/tempesta mediatica», che prende irrimediabilmente il posto dei fatti e del loro significato.
Chi ha una posizione di parte (Djokjovic e team allargato, autorità del Commonwealth, autorità locali, maggioranza politica australiana, minoranza in attesa delle elezioni di marzo, politica serba, TA, etc.) può sovra-rappresentare, fino a un certo punto, le ragioni della propria posizione. Ricordato che per i politici (date le loro responsabilità) quel punto è molto vicino allo zero, sta però a chi deve ricostruire i fatti registrare le singole posizioni, prima di farle assurgere a verità o bugia. Oggi è difficile (impossibile?) farlo perché la pressione dell’opinione pubblicava in senso contrario, chiedendo con forza di spiegare rapidamente chi ha ragione e chi no e partecipando attivamente a questa valutazione. Questa vicenda sembra fatta apposta per spiegare perché non bisogna affrontare le vicende in questa maniera, fatto salvo il diritto e dovere di interessarsene, ma temo che queste parole cadano nel vuoto.
I singoli frammenti della vicenda, ingigantiti o rimpiccioliti dalla percezione del c.d. newscycle, sono tessere di un puzzle complesso, che si compone solo con il tempo. Sia quello che trascorre naturalmente sia quello che viene impiegato da fact-checker e debunker a fare il loro lavoro. Se questo tempo tende a zero perché bisogna alimentare il suddetto newscycle, abbiamo un corto-circuito che produce una rappresentazione (e non una ricostruzione) della realtà. Ottimo sistema per una serie, meno per il giornalismo.
TRIGGER
When you get people making public statements, of what they say they have and what they are going to do and what their claims are, they draw significant attention to themselves.
Anyone who does that – whether they are a celebrity, a politician, a tennis player, a journalist, whoever does that – they can expect to be asked questions more than others before you.
That is how Border Force works. They are not singled out at all.
SCOTT MORRISON
Ritengo che sia dovere di un giornalista criticare questa dichiarazione del primo ministro australiano, ormai seppellita dagli eventi. In tempi normali non dovrebbe essere necessario spiegare che farlo non significa «dargli addosso» e, ancor meno, «dare ragione» a Djokovic. Purtroppo oggi è meglio premetterlo, ben sapendo che farlo equivale per molti a un’excusatio non petita. Trovo che questa frase, e la diacronia degli eventi, indichino con chiarezza che senza il famigerato post su Instagram del sorridente tennista in partenza nulla o quasi sarebbe successo. Il post diceva, in sostanza, «Australia, grazie a un’esenzione arrivo». Una notizia per quasi tutti i lettori del post, difficilmente per le autorità australiane, che quell’esenzione avevano concesso. A confermarlo è il ministro Hawke, che nella sua memoria sceglie di non mettere in dubbio l’adesione di quell’esenzione agli ormai celeberrimi criteri ATAGI. Questo non significa affatto che il doppio respingimento del tennista serbo sia illegittimo o “ingiusto”, perché la questione è ben più complicata e l’ancor più celeberrimo articolo 133c(3) dell’Immigration Act dà al ministro un potere discrezionale pressoché illimitato.
Tornando a quel post, la dichiarazione di Morrison che trovate a inizio paragrafo segue temporalmente alla massiva reazione a quel post che in 5 continenti ha sconvolto tutti i sismografi social. Senza addentrarmi in questo delicato territorio, credo che si possa stabilire un certo grado di nesso causale tra post e dichiarazione, pur non essendo in grado di dimostrare l’assunto. Lo svolgersi degli eventi è comunque meritevole di attenzione. Provo a proporre un’ipotesi (non certezza) di ricostruzione, che è frutto solo e soltanto della mia opinione.
EVENTO | IMPATTO COMUNICATIVO |
Post di Djokovic | Attirare attenzione su di lui. Spaventoso traffico. Polarizzazione immediata. Forti critiche all’Australia per aver accettato un non-vaccinato, oltre a quelle a Djokovic (lodato per il suo coraggio da parte avversa). |
Dichiarazione di Morrison | Alleggerisce la posizione dell’Australia, che passa da essere criticata a essere lodata per il respingimento che si profila all’orizzonte (ribaltare per parte avversa). |
Respingimento | Polarizzazione massima su un personaggio (quello che voleva il personaggio stesso quando ha fatto partire la slavina). Creazione di un capro espiatorio-eroe. Le due parti, pro e anti-Djokovic, sostengono la propria versione con argomenti e strategie, partendo dall’obiettivo di “dimostrare” una tesi. |
Ricorso accolto | Festeggiamenti e contumelie dalle due parti. Non comprensione del senso del provvedimento, idea che sia il risultato di una partita, atto a “dimostrare” (o negare) una di quelle due tesi (eroe o capro espiatorio). |
Secondo respingimento | Reiterazione dei passaggi già visti, con ulteriore frammentazione di singoli aspetti della vicenda, nel frattempo ingrossatasi fino all’ipertrofia, atti a “dimostrare” la tesi ma nocivi per la piena comprensione della sua complessità e delle sue (ormai) enormi ramificazioni. |
Il punto che sollevo è molto semplice: se fin dall’inizio avessimo seguito gli eventi con attenzione senza correre ad alcuna conclusione, cosa sarebbe successo? Il senso della domanda retorica è che il valore simbolico della vaccinazione (in questo caso non-vaccinazione) di un singolo non può essere dato per scontato. Capisco che è così, ma non mi rassegno ad accettare questo fatto senza esercitare il senso critico. Se in assenza di obbligo vaccinale (in questo caso per entrare in Australia) sia o meno una buona cosa comportarsi come Djokovic è una discussione che ha totale diritto di cittadinanza. A patto, ritengo io in minoranza, di ricordarsi che qualsiasi conclusione se ne possa trarre vale per il suo comportamento, non come principio universale. La rilevanza di quel comportamento può essere teorizzata solo considerando la spasmodica importanza che gli viene annessa sulla base della popolarità di Djokovic, basata a propria volta sulla sua abilità tennistica e sull’alluvione social-mediatica che ne segue. Dare al suo ingresso in Australia, o ai suoi eventuali risultati negli Open se dovesse partecipare, la valenza di ordalia che viene pacificamente riconosciuta da tifosi e detrattori a me pare poco sano per la convivenza civile. Condivido che sia un caso rilevante. Non condivido affatto il principio che una celebrità, un politico, un tennista o un giornalista possano essere, se non singled out, guardati da un’autorità sotto una luce diversa per il numero di follower che hanno. Farlo espone a una serie di pericoli indicibile: seguire per pregiudizio qualcuno sulla strada sbagliata, non seguire qualcuno per pregiudizio sulla strada giusta, de-responsabilizzare la politica, ridurre il dibattito su temi complessi a bieco tifo, privare qualcuno dei propri diritti, assolvere qualcuno dai propri doveri. E se il post di uno di questi personaggi, alla ricerca di risultati per il suo brand e/o di consenso per le sue convinzioni, mette in moto un processo che ha queste conseguenze, ragionare criticamente su quel processo è più importante che fare pollice verso a Djokovic o a Hawke, alla Serbia o all’Australia. Tutto questo permettendo alla politica di non affrontare davvero una questione appena decisiva come quella vaccinale. O, in linea di principio, di usare un fatto di per sé relativamente significativo per fini di consenso.
Se non fosse così, ben difficilmente il ministro sosterrebbe che il pericolo è quello di sollevare pericolose pulsioni anti-vax. E la difesa di Djokovic non controbatterebbe che questo timore è irrazionale. Verrebbe da fare qualche considerazione sull’eterogenesi dei fini e sulla coerenza, visto che alla costruzione del simbolo il tennista serbo, e la sua macchina comunicativa, hanno dato un qual certo contributo. Se invece vogliamo rimanere sulla terra, dobbiamo guardarci in faccia e chiederci se come collettività abbiamo fatto tutto quello che era necessario per dare alla Corte la serenità necessaria a deliberare. Io credo di no, ma vedo che prenderla da questo versante espone a critiche di cerchiobottismo, di «farla troppo lunga» e di snobismo. Possibile, ma mi ostino a pensare che ci sia qualcosa di più importante che stare a guardare chi vince una partita o un processo.
GIUDICI
Stasera, ora italiana, arriverà un verdetto da parte della Federal Court of Australia. Quella parola, verdetto, è ritenuta nell’immaginario collettivo la decisione finale rispetto alle argomentazioni di Djokovic. Stasera o vince o perde, il resto è fuffa. La parte che non si vedrà rappresentata dal verdetto lo userà per “dimostrare” di avere maggior ragione (sostenendo che è un martire o che è ingiusto che possa giocare), esattamente come farà quella avversa. Invito però tutti a leggere su cosa la Corte delibererà stasera. Nello specifico essa
In hearing a migration case, cannot decide if a visa should be granted or cancelled. Whether the Court would have made a different decision to the original decision-maker is not relevant to the Court’s determination.
Quello che invece la Corte farà è esprimersi su eventuali «errori giuridici».
The Court can consider whether a legal mistake has been made by the decision-maker and adjudge “questions of law” or whether there has been a “jurisdictional error”. Examples of jurisdictional errors include the decision-maker:
- not adopting a fair process in making the decision;
- identifying a wrong issue;
- ignoring materials they were required to look at;
- relying on materials they should not have looked at;
- incorrectly interpreting or applying the law;
- reaching a decision that is unreasonable in the legal sense;
- making a decision for which there was no evidence, or that was not reasonably open on the materials.
La Federal Court non può e non deve dirci stasera se Djokovic vada o meno respinto, ma solo se il provvedimento del ministro sia o meno conforme alla legge. Figuriamoci se potrà mai dirci se Djokovic ha commesso un reato in Serbia o in Spagna. Se ha fatto un errore materiale o mentito nel compilare documenti che vengono riconosciuti come formalmente validi dalle autorità australiane (sollevando così la Corte dal dovere di esprimersi in merito). Se ha esercitato la giusta diligenza di cittadino andando a una partita di basket, partecipando a eventi pubblici, rilasciando interviste one-to-one, viaggiando o facendo qualsiasi altra cosa nella seconda metà di dicembre.
Caricare di significati che non ha una deliberazione della giustizia ha conseguenze gravi sul nostro vivere insieme. Io mi sento di implorare i giudici, assieme a tutti gli altri attori della vicenda, affinché non decidano in base all’impatto mediatico che la sentenza avrà o per la sua valenza simbolica. Il mestiere che devono fare è quello di vedere Djokovic e le autorità uguali davanti alla legge, nulla di più e nulla di meno. Djokovic, le autorità australiane e l’opinione pubblica hanno l’opzione di interrogarsi su cosa convenga loro. L’alternativa è tra cavalcare una tigre che può disarcionarti in ogni momento (come fa irresponsabilmente la maggioranza della politica) o praticare un’etica delle responsabilità. Lo so, così è farla troppo lunga, non voler ammettere che ha vinto uno e ha perso l’altro, non ridere di fronte ai 72 688 meme che arriveranno, non blandire (o fare arrabbiare) i fan di Djokovic o dell’Australia che festeggiano o insultano i giudici corrotti. Fate vobis.
Non credo esista una ricostruzione più appropriata ed accurata. Troppo lunga, ma giusta. E necessaria